Quando è successo?

9 Dic 2016 | Una tantum

Quante pagine di calendario sono state strappate da quando l’amore si è posato su di noi? Molte, forse troppe. Il nostro ultimo sorriso da single, nel dicembre del 2012 ci ha abbracciati in quella piazza che scrocchiava di luci di Natale. Camminavamo. I nostri passi erano i puntini di sospensione di una fiaba che attendeva il lieto fine. E così fu. Il tuo acerbo amore aveva vinto il braccio di ferro con l’imbarazzo del silenzio, e sei arrivato a me. Il blu della notte invernale ha scansato il freddo dalle nostre mani e ha soffiato un tepore d’amore addosso ai nostri vuoti cappotti. Eravamo di colpo incastrati in un tamburellante abbraccio di cuori impazziti. Le nostre ombre sotto quell’indiscreto lampione, erano l’improbabile schizzo di un pittore pazzo. E poi il tuo viso, così vicino alla mia bocca ammutolita. Mi sono arresa. Ho iniziato a sfiorare con le labbra le tua basette sempre troppo lunghe: il ricamo perfetto di un viso maschile fiero e coraggioso, nella notte della verità. Le tue labbra hanno tratteggiato un percorso silente ed inarrestabile, la scia al galoppo di un esercito del desiderio immaginario; le mie gote rosse e fresche, si lasciavano conquistare, nella tanto agognata ora della resa. Quella sera, in quella piazza non ci siamo detti nulla con le parole. Ma quella mano che ha reclamato la mia schiena mi ha detto tutto. Poi si sono aggiunte quelle dita, che hanno conquistato il calore della mia nuca. E quel tocco caldo e nuovo, della tua bocca che mi ha sussurrato il segreto dell’uomo che eri diventato.

4 anni di noi, tra una settimana.

Quante lenzuola sgualcite, morsi di panini condivisi, cori ululati a quei concerti che tanto amavamo. Innumerevoli sorrisi congelati dalle polaroid nei nostri compleanni e rumori familiari di chiavi di quella serratura che il mondo esterno esclude. Oggi, dopo 4 anni da quel fragore silenzioso, sento i vuoti dei momenti in cui siamo lontani e questi urlano un messaggio che non ho ancora il coraggio di ripetere ad alta voce. Se sfioro con lo sguardo il tuo profilo vedo un uomo che ha maturato un fascino che forse non vuole più condividere con me. Non mi abbracci più, ed io non cerco quelle mani. Non ricordo quand’è stata l’ultima volta in cui ci siamo incamminati verso di noi, per assaggiare i nostri pensieri. Le rare volte in cui ora ci troviamo nostro malgrado a dover condividere uno spazio e un tempo, vedo le altre donne che, con sguardi trafugati, ti osservano. Forse ti desiderano, come lo feci io in quel lontano dicembre e le capisco. Anch’io vorrei provare ancora tutto questo. Quand’è finito questo amore? Non saprei identificare in questo flusso di anni, il giorno in cui abbiamo smesso di esplorare con attenzione i nostri visi. Le nostre mani. I nostri sogni. Se mi sforzo un po’, riesco a malapena a ricordare quella sera di un anno fa. Avevamo appena finito di cenare. Mentre lavavi i piatti pensavi al nuovo lavoro che avresti iniziato il giorno seguente. Le preoccupazioni di un uomo, di essere all’altezza e di rispecchiare l’immagine di sé fino ad allora coltivata. Ho fissato la tua schiena ed ho preso la rincorsa nella mente. Non una parola. Ti ho abbracciato da dietro. Ma non ti sei fermato: hai continuato quel gesto meccanico e assopito. Allora ti ho stretto più forte. “Sei sempre stato la mia forza”. Lo pensavo veramente. Ti sei fermato. L’acqua scorreva e condannava il nostro silenzio. Ti ho sfiorato e ti ho voluto. E tu mi hai permesso di entrare nelle tue preoccupazioni, con fiducia e coraggio. Ho preso per mano il tuo viso, che ora mi chiedeva certezze. I tuoi occhi gridavano fierezza, ancora una volta. La paura se n’era andata e con lei il mio abbraccio trasparente. Ora si era davvero riempito di te e di me. Quella sera non abbiamo fatto l’amore. E’ stato l’amore che ha fatto noi. E da quanto io ricordi, è stata l’ultima volta che ci ha visti davvero complici.

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